Tornati in Italia i bambini adottati ad Haiti
Sono arrivati domenica a Roma e nessuno riesce a trattenere le lacrime. Si può scrivere il lieto fine della lunga e travagliata vicenda dei dieci bambini di Haiti, tra i due e i dieci anni, adottati quasi un anno fa da otto famiglie italiane. Nove si trovavano nella capitale Port Au Prince e uno in una località a circa 200 chilometri di distanza: per ragioni di sicurezza legate alla devastante criminalità dell’isola caraibica fino a ieri sera non avevano potuto lasciare le loro residenze. «Quale sarà la prima cosa che faremo una volta tornati a casa? Stasera dormiamo a Roma, domattina ripartiamo per Vicenza. Andremo a votare per le elezioni europee. Ringraziamo l’unità di crisi della Farnesina, che ha fatto un lavoro enorme per far spostare i bambini in sicurezza. Grazie al presidente del nostro ente, Pierluigi Carnevali dello Scoiattolo onlus di Terni e Sos Bambino. Grazie anche ad Alessandra Moretti. Senza di lei non saremmo arrivati fino a qui» commenta a caldo Silvia Giraldi, 49 anni, avvocata, che finalmente potrà stringere tra le braccia Cristian, quattro anni, fino a ieri chiuso in un orfanotrofio a 200 chilometri di distanza dalla capitale messa a ferro e fuoco.
«Lo aspettiamo da settembre. A gennaio, finalmente, la sentenza di adozione è passata in giudicato. Ma a febbraio ad Haiti sono iniziati gli scontri, sempre più violenti. Aeroporto e uffici sono stati chiusi, e così anche la nostra situazione si è bloccata» aveva raccontato a La Stampa la scorsa settimana. Poi la bella notizia. Non riesce a trattenere le lacrime di gioia nemmeno Alessandra Moretti, parlamentare europea del Pd che ha seguito la vicenda dall’inizio. «Avevo promesso che non li avrei mai mollati, così è stato. Oggi è difficile trattenere l’emozione. Conosco Silvia da anni, nel tempo ho conosciuto anche le altre famiglie di genitori – commenta Moretti -. Ringrazio lo staff del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che da subito si è attivato per tirare fuori da quell’inferno i bambini. Oltre che i problemi di sicurezza, ci sono state diverse lungaggini burocratiche. La procedura prevedeva il riconoscimento in consolato per dargli un lasciapassare, ma era troppo pericoloso per loro raggiungerlo. Sapere che ora sono al sicuro è meraviglioso». Ancora ieri sera, all’aeroporto, ci sono state delle difficoltà con i documenti dei bambini. «Fino a che il ministro Tajani mi ha chiamato per dirmi che sì, ce l’abbiamo fatta. Il volo era finalmente decollato».
Ad attendere il volo che li ha portati in Italia ed è atterrato questa mattina, sabato 8 giugno, all’aeroporto militare di Ciampino c’era anche la ministra Eugenia Roccella. «Oggi è una di quelle giornate che valgono l’impegno politico di una vita – il commento della ministra per la Famiglia –. L’impegno della Presidenza del Consiglio e dell’intero governo è continuo e costante in tutti i luoghi dove i bambini attendono di poter arrivare in Italia, trattenuti da condizioni geopolitiche difficili. Continueremo sempre a lavorare per questo obiettivo mettendoci il cuore».
«I bambini — scrive in una nota Palazzo Chigi — attendevano da mesi di potersi congiungere alle loro famiglie italiane, con le quali avevano avuto soltanto contatti in video chiamata. L’operazione è stata condotta non appena si sono ripristinate le minime condizioni di garanzia, al fine di evitare il rischio che le bande criminali, resesi responsabili di recente del brutale assassinio di due missionari statunitensi e di un prelato haitiano, potessero fare irruzione anche negli orfanotrofi».
«Il risultato positivo — conclude la nota — è frutto dell’azione collaborativa tra Aise, Unità di crisi della Farnesina, ministero per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, ambasciata d’Italia a Santo Domingo, Consolato Onorario a Port Au Prince e Commissione per le adozioni internazionali». «È paradossale, ma le famiglie italiane che sono pronte a iniziare un percorso di adozione internazionale si trovano troppo spesso davanti a un percorso a ostacoli – conclude l’eurodeputata Moretti -. La burocrazia non deve essere un ostacolo».
Da “La Stampa”